Una riflessione personale sul ruolo di psicologi, in questo momento di emergenza coronavirus.
«Ascoltare veramente significa ascoltare tutto. Al di là delle domande. Anche quando non si riesce a capire quello che ci viene detto. Il mio lavoro, in fondo, consiste in questo. Solo così le parole di un paziente cominciano a risuonare vere. Pensa che in ebraico il verbo ‘parlare’ ha la stessa radice del termine ‘deserto’. Come se la parola scaturisse dal deserto, dal silenzio. Niente parola senza silenzio. Niente parola senza ascolto» (M. Marzano).
Penso che questa citazione, riferita allo spazio della terapia, possa dare spunti di riflessione più ampi in questo momento particolare, che non esclude nessuno ed è comune a tutti.

Proprio quando tutto rallenta, proprio quando una forma di ‘deserto del fare’ diventa un’esperienza imposta dalle circostanze, noto che come psicologi in tanti ci stiamo attivando per supportare le persone, attraverso gli strumenti a nostra disposizione. Ci attiviamo, per contribuire a dar voce, parola e significato allo smarrimento che si può provare in questo deserto. ‘Cosa sente di aver perso? Cosa sta ritrovando? Quanto può essere assordante questo smarrimento? Che sapore ha questo silenzio?’.
Ho però la sensazione che uno dei rischi sia quello di dimenticarci che in questo deserto ci siamo insieme. Terapeuti e pazienti. Che questa emergenza coinvolge tutti, anche noi.
E preoccupazioni, smarrimento, dubbi, stanchezza, vuoto, ansia, oltre ad essere aspetti da esplorare con i nostri pazienti, sono vissuti che risuonano in modo particolarmente intenso in noi. Non avere consapevolezza di questo può rischiare di farci entrare in relazione con l’altro con la sensazione di aver già compreso abbastanza, di possedere già delle risposte, solo perché noi abbiamo trovato le nostre.
O peggio, trattiamo questa situazione come se non ci coinvolgesse direttamente, come se fosse un’emergenza avvenuta in un posto lontano, in cui noi ci siamo recati per fornire il nostro supporto. Un’emergenza che ci tocca solo nella misura in cui ha toccato l’altro e tocchiamo l’altro, e non perché ci siamo immersi anche noi.
«Niente parola senza silenzio. Niente parola senza ascolto».
Diamoci tempo: terapeuti, pazienti… persone. Impariamo ora più che mai a stare insieme nel silenzio, nostro e dei nostri pazienti, senza necessariamente riempirlo di proposte, interrogativi, risposte. «Al di là delle domande».
Rallentiamo: per ascoltarci, per ascoltare l’altro, e per ascoltare il modo in cui l’altro risuona dentro di noi.
Psicologia al tempo del coronavirus
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